Ti vaccini, perché sei previdente, diligente e poi l’influenza è fastidiosa, insopportabile. Nonostante ciò puntualmente, sfacciatamente si presenta. Bontà sua lascia passare il giorno di Natale, ma la mattina di Santo Stefano irrompe villanamente con tre o quattro conati uditi anche al piano di sopra.
E così è fatta.
Davanti a me una settimana da malato e quasi subito riaffiora la voglia di scrivere. Queste pagine sono in attesa da mesi, ma non ci credo quasi più. Le idee, i pensieri, invece, sarà la febbre, si accavallano impazziti. Qualcosa da tenere per me, qualcosa, molto meno, potrebbe essere anche scritto. È passata una settimana e ancora non ho scritto nulla.
Basta preambolo, scrivo!
Comincio … dall’inizio, ovviamente. Come Giovanni. Giovanni chi? Il più famoso, quello del Vangelo. Se lo cita un “non credente” della posta di Eugenio Scalfari, potrò citarlo anch’io … o no? Guarda caso la citazione con cui il fondatore di Repubblica augura buon Natale ai lettori, affronta un tema sul quale mi arrovello da un po’ di tempo e, per certi versi, si insinua come un bisturi nel campo delle grandi domande dell’umanità, affondando persino in questioni apparentemente lontanissime e disperatamente attuali come la vicenda tutta nostra delle “post verità”.
“In principio erat verbum”.
Tutto cominciò con la parola.
Giovanni, l’apostolo prediletto, scrive anche lui un Vangelo, ma non si ferma ai fatti, li filtra aprendo squarci interpretativi sulla figura di Gesù, ma, prima ancora, laicamente, filosoficamente, sulla vicenda umana nell’Universo e nella Storia.
Già, da dove comincia la Storia? Tutta la storia. Se non da quando è sbocciata la parola. Esisteva realmente qualcosa prima che dalle labbra di un essere uscisse un suono con un significato? Proviamo a immaginarcelo, l’Universo. C’era tutto, ma … muto, silente nel silenzio cosmico.
Tutto prese vita soltanto e finalmente nel momento in cui un essere ad ogni cosa diede un nome, anche a se stesso.
La parola ha avuto e ha il potere di creare. E sarebbe affascinante esplorare cosa ancora oggi crei. Vado a memoria in cerca di parole che hanno creato. Nel senso di trasformare in esistente l’inesistente. Mi limito ovviamente alla mia esperienza di vita e di cultura. Ed è così che si materializzano parole come “I have a dream …” di Martin Luther King, “… sortirne insieme è politica, sortirne da soli è avarizia” di don Lorenzo Milani, “Il sentiero della nonviolenza richiede molto più coraggio di quello della violenza” del Mahatma Gandhi …
Oltre a parole che hanno inciso fino a creare situazioni nuove e impensabili nell’evoluzione della società, credo che ognuno possa ritrovare nella propria memoria le parole che hanno contribuito alla sua crescita personale. Proprio in questi giorni di festa mi è capitato di rimettere mano a centinaia di lettere ricevute in gioventù, a cominciare da quelle dei miei genitori, e poi a tante di parenti, amici, maestri di vita. Terrò tutto per me, ma ho potuto così riflettere sulla incommensurabile ricchezza di quelle parole di affetto, di insegnamento, di incitamento, di preoccupazione, di soddisfazione, d’amore … Parole che, alcune di più, altre forse meno, hanno comunque contribuito a guidare pensieri e azioni, a costruire, forgiare, correggere, rinforzare, comportamenti, atteggiamenti, stili, propositi, volontà.
E così, mentre scrivo, di parola in parola, mi convinco sempre di più del valore miracoloso della parola. Anche di quelle che sto timidamente digitando. Nel bene e nel male. E della delicatezza con cui le parole vanno usate. Sì, perché le parole possono anche procurare danni. A volte enormi. Non credo serva indagare nella storia per trovare chissà quali esempi, basta pensare al Novecento e a parole come quelle che ancora, fortunatamente sbiadite dal tempo, si trovano ancora sulle pareti di edifici pubblici di un’epoca non tanto lontana. “Credere, obbedire, combattere”. Qualcuno sorride? Eppure in tanti hanno creduto, obbedito e combattuto. E non è stato uno scherzo. Oppure quelle per tanti incomprensibili parole scritte sui cancelli dei Lager: “Arbeit macht frei”, “Il lavoro rende liberi”. Fa rabbrividire, vero?
Ebbene, da qualche millennio possediamo la parola, questa facoltà caratteristica dell’umano, prima solo suono, poi segno grafico, poi sempre più facilmente riprodotto, stampato, trasmesso, tradotto, istantaneamente scambiato … Sempre di più, sempre più facile, sempre più immediata.
E adesso? mi è bastato dare un’occhiata a Facebook … e mi si sono rizzati i capelli. Com’è facile, però, raccontare menzogne! Senza neppure il tentativo di mascherarle … tanto di creduloni è pieno il web …