Sabato sera tardi 26 maggio 2018. Ottantatreesimo giorno dal voto del 4 marzo. Governo? Quando?
Pensieri.
Come uscire da questa situazione?
Bisogna uscire dalla logica maggioritaria.
La legge elettorale può anche non piacere, ma questa è e ha prodotto il risultato che sappiamo e la situazione che l’Italia sta vivendo in questi giorni.
Una situazione che a me – ma non solo a me – pare paradossale.
Paradossale per come è venuta producendosi a partire dal risultato elettorale del 2013 e, ancora prima, dal percorso che ha condotto alla formazione del Partito Democratico. Ma non voglio, ora, fare un’analisi di un processo lungo almeno dieci anni.
Mi interessa di più mettere nero su bianco un pensiero, poco più di un gioco mentale che parte dal presupposto che, piaccia o no, l’esito delle elezioni del 4 marzo 2018 presenta tutte le caratteristiche che si producono quando si è in presenza di un sistema elettorale proporzionale e l’orientamento degli elettori è largamente frammentato oltrechè spaesato.
Movimento 5 Stelle primo partito, Partito Democratico secondo, Centro destra prima coalizione, ma immediatamente disorientata al suo interno a seconda delle opportunità e dei veti che vengono via via producendosi. Centro sinistra tormentato, ma non è una novità, dalle lotte correntizie che hanno caratterizzato la storia secolare della sinistra italiana e non solo.
Scrivo al termine dell’ottantaquattresimo giorno di crisi: Il Presidente della Repubblica ha affidato l’incarico al prof. Giuseppe Conte che nella ipotetica lista dei ministri si trova inserito, per chiara volontà di Matteo Salvini, il prof. Paolo Savona, a detta di molti noto per le sue posizioni euroscettiche. Mattarella non ci sta. Salvini che, sentendo il vento del Nord in poppa, vorrebbe replicare le elezioni, pone l’aut aut: o di qui a 24 ore il governo parte o lui non ci sta più. Di Maio, che per allearselo aveva sfidato la tenuta cieca e assoluta dei grillini, comincia a percepire accenni di tremarella e raccomanda calma e gesso.
E se davvero il tentativo di concludere fallisse?
Tutti a casa e apriamo di nuovo le urne con quel che costano?
Di nuovo con lo stesso sistema proporzionale?
Tutto può succedere, ma sono portato a credere che il Presidente Mattarella preferisca riesumare quel piano B ventilato prima del “Presidente aspetti un attimo, che forse ce la facciamo” gridato dai sedicenti vincitori con l’applauso più che benevolo dei quasi mille vecchi e nuovi inquilini di piazza Monte Citorio.
E come la mettiamo con quelli che hanno vinto?
Quelli, come già disse Bersani di se stesso e del PD, hanno “non vinto”. Anzi, il PD, allora, aveva la maggioranza da solo alla Camera mentre doveva cercare di coalizzarsi con qualcuno al Senato. E, dopo ceffoni e sberleffi dai pentastellati in streaming, toccò prima a Enrico Letta, poi a Renzi e infine a Gentiloni guidare il governo nella diciassettesima legislatura insieme ai transfughi del centrodestra.
Quindi?
Quindi prima di sciogliere le camere e riconvocare i comizi elettorali, secondo me sarebbe opportuno esplorare il possibile destino di quel fantomatico piano B.
Come?
(Riflessione interrotta il 27 maggio 2018, alle 17,45 circa … il Premier incaricato Conte sta recandosi al Quirinale)
(continua)