Non mi piace, ma devo proprio aprire con un richiamo al passato. Poche righe, ma indispensabili. Durante la mia discretamente lunga avventura di maestro nelle scuole elementari della Repubblica ho cercato sempre di rispondere alle molteplici domande che la scuola pone a un insegnante. Che cosa vai a fare tutte le mattine? Qual è il fine che ti guida? Ce l’hai chiaro? C’è una scala di valori che ti compete di sviluppare nelle persone dei ragazzi, lo sai? Vedi chiaro nelle competenze che dovranno acquisire nel tempo in cui ti sono affidati? Conosci bene i contenuti, i metodi, le tecniche migliori?
Una cosa mi fu chiara fin dall’inizio: che – certo – quei bambini avrebbero dovuto saper leggere, scrivere e far di conto, come si diceva allora, ma quei bambini e quelle bambine sarebbero presto diventati uomini e donne e avrebbero dovuto leggere non solo i libri, scrivere anche fuori dai quaderni e fare i conti non soltanto con le quattro operazioni. Leggere in realtà voleva dire capire, scrivere voleva dire incidere sulla realtà e far di conto significava valutare con la propria testa le situazioni della vita.
Oggi come allora è indispensabile leggere i libri che raccontano la realtà, ma non basta. Occorre saper leggere direttamente la realtà, le situazioni, coglierne i problemi, analizzarne gli aspetti, soppesare i pro e i contro …
Oggi come allora – lo diceva e lo dice ancora la Costituzione – “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Ecco cosa c’è da “scrivere”.
Oggi come allora “far di conto” significa essere capaci di valutare, di non perdersi di fronte alle piccole e grandi scelte della vita, quelle che incontriamo di ora in ora e quelle che la vita te la cambiano.
Questo valeva per la scuola di ieri, vale per la scuola di oggi e varrà per la scuola di domani.
Non è cambiato nulla, allora?
Va proprio bene tutto quel che c’era allora? Bisogna tornare indietro come qualcuno auspica, recuperando i voti numerici e i grembiulini, ritornando alla scuola con un maestro solo – anzi – con una maestra sola? E riducendo le ore di lezione, perché i bambini devono stare con la famiglia? Ma sì. E vedrai come vengono su bene!
Riproduciamo il buon tempo antico? Io non credo che sia la strada giusta.
Infatti il tempo passa e con ritmi sempre più accelerati. Forse non ci piace, ma va così, anche se non ci piace. Provino a fermarlo se sono capaci!
Vorrei analizzare insieme a chi vorrà alcuni cambiamenti che portano con sé approcci necessariamente nuovi senza i quali vedo con facilità il fallimento dell’educazione delle generazioni che stanno crescendo.
I miei studi sono di carattere pedagogico. Cercherò di non allontanarmene troppo. Procederò in modo semplice: un input e qualche considerazione e – in coda – una breve riflessione sul che fare, senza alcuna pretesa di indicare ricette, ma solo l’ambizione di aprire un dialogo, se verrà.
Cominciamo dalla televisione. Ne parlano tutti. Le diamo un sacco di colpe, ma siccome ha anche un sacco di meriti e buone qualità, forse dobbiamo approfondire un po’. C’è un programma su All Music che vale la pena di vedere almeno una volta nella vita. Si chiama The Club. Eccolo qua. Fate la cortesia di cliccare e guardarne uno spezzone.
Senza drammatizzare – siamo tutti uomini e donne di mondo – qualche interrogativo mi sorge, anche se si tratta di una trasmissione di intrattenimento. Che cosa induce quei ragazzi a mettersi così a nudo a fronte di domande tanto dirette? Se lo fanno, penseranno di indurre giudizi positivi su di sè, di apparire come modelli da imitare? E chi ha ideato la trasmissione e scelto le domande che cosa si propone?
Spostiamoci sullo spettatore, sul preadolescente o adolescente che osserva i suoi compagni e le sue compagne più grandi in un’età in cui proprio nel gruppo si cercano i punti di riferimento comportamentali. Quale reazione davanti a questo campionario di profili umani?
Io non sono, lo dico subito, per la censura. E sono anche del parere che non pare una grande novità: la spacconeria del più grande è sempre esisitita, ma a ben guardare il nuovo c’è. C’è uno strumento potentissimo che a questi atteggiamenti dà spazio e immeritata visibilità, assegnando loro una patente di credibilità e affidabilità che la televisione possiede, inducendo così l’imitazione. In molti casi quei ragazzi diventano modelli.
Credo che la scuola debba assumersi il compito di insegnare a “leggere” questo tipo di messaggi, fornendo agli spettatori gli strumenti necessari per esprimere un proprio giudizio autonomo sugli scopi della trasmissione, sui comportamenti dei coetanei coinvolti, su valori e disvalori che la trasmissione coltiva.
Internet è lo strumento caratteristico del nostro tempo. E lo sarà sempre di più.Che sia indispensabile non si discute, che debba essere libero, nemmeno. Ma che sia subdolo e fonte di distrazione proprio per la miriade di informazioni alle quali si può accedere con un klik è altrettanto vero. Questo mi dice che occorre dotare tutti gli internauti della capacità di scegliere, di una adeguata resistenza alla distrazione, della forza di volontà necessaria a non diventare internetdipendenti. Indubbiamente la scuola ha dovuto affrettare i suoi ritmi per stare al passo con i suoi studenti almeno per quelle conoscenze tecniche utili per l’accesso al web e non sempre e non dovunque c’è riuscita. Mi domando se accanto a queste conoscenze si è diffusa una contemporanea competenza degli educatori nell’affrontare con gli studenti i problemi di un uso sano dello strumento. Non manca certo la bibliografia e anche sulla rete suggerimenti, un po’ datati per la verità, ce ne sono.
La distrazione è una cosa positiva, serve a staccare la spina… le vacanze, la briscola, le bocce, il cinema, chi più ne ha, più ne metta … il gioco per i bambini e il gioco per i grandi, ma vedo un rischio dietro al quale possono muoversi – e di fatto si muovono – poteri molto forti.
Il problema è che questi distrattori sono cambiati e sono di massa e ti inseguono in casa tua, sul luogo di lavoro, mentre studi, … li hai in tasca, come il cellulare che non telefona soltanto, ma ormai è un vero e proprio personal computer. Non sono per censurare, l’ho già detto, ma sono perché si possa fare molto jogging, footing, training, building non solo per il body, ma anche per la mente.
Ecco perché servono non meno, ma più ore di lezione, non meno scuola, ma più scuola, non meno risorse, ma più risorse, non meno formazione e aggiornamento per i docenti, ma di più, non meno progetti capaci di coinvolgere scuola e famiglie, ma una ripresa consistente di una tradizione che, per quanto a macchia d’olio andava prendendo forza in molte parti d’Italia.
Forse si capisce che non mi va giù la controriforma della Gelmini. Tutta.
Per ora mi accontento di aver posto il problema. C’è qualcuno che ha voglia di dare una mano?