Quando si è in ferie non si vorrebbe essere disturbati, ma a volte i fatti sono così forti che riescono anche ad abbattere certi vincoli della“delicatezza” interpersonale. Quando poi i fatti riguardano un paese, una città lontana, potrebbe farsi strada qualche interrogativo in più. Eppure potrebbe esserci qualche motivo per cui, nel giorno in cui in Italia la stampa tace per una più che giusta protesta contro la legge bavaglio, non resisto a scrivere e pubblicare una notizia che pochissimi forse sanno. Una notizia che viene dal cuore di una comunità lontana nello spazio, ma vicinissima ai cittadini di Castel San Pietro e di Imola. Si tratta di Bukavu, in Congo.
La generosità che di tanto in tanto si risveglia e ci spinge ad azioni grandi ha fatto sì che portassimo l’acqua nei villaggi.
Di quanta acqua ci sarebbe stato bisogno in un altro villaggio, non lontano di lì il 3 luglio scorso?
Ma purtroppo non c’era acqua, non c’era la possibilità di soccorrere, …
Mi fermo qui. Lascio a chi leggerà l’impegno a riflettere. La domanda che mi faccio è quella ricorrente di questi tempi: come faremo a vincere l’indifferenza?
Lettera da BUKAVU
La Repubblica Democratica del Congo in Lacrime !!!
Ancora una volta il popolo congolese in lacrime, ancora morti e sempre morti.
Nel momento in cui la Repubblica Democratica del Congo festeggia le sue 50 candeline, il cinquantesimo anniversario della sua indipendenza, 50 anni di traversie politiche, economiche e sociali,
…
anni nel corso dei quali migliaia di compatrioti sono morti senza speranza di vedere un domani migliore per il loro paese, la cosa a cui aspira tutto un popolo,
all’indomani del cinquantenario dell’indipendenza che suscitava la speranza di vedere un paese migliore che nel passato, la speranza generata dai tanti discorsi e messaggi riferiti dagli organi d’informazione, tra i quali quello del Presidente della Repubblica nel suo discorso alla Nazione del 30 giugno 2010, il messaggio del FMI e della Banca Mondiale che annullavano il debito della RD del Congo per oltre il 90%, i messaggi dei responsabili politici, ecc.
Il popolo congolese non si aspettava ancora di piangere o di vedere altri morti sul territorio nazionale. Molti si chiedono quando finirà.
Appena tre giorni dopo le celebrazioni del 30 giugno, verso sera, a Sangé, 80 km a sud di Bukavu e a 20 dalla città di Uvira, un’autocisterna piena di carburante proveniente dalla Tanzania, si rovescia con tutto il suo carico di carburante che cola a terra. La popolazione dei dintorni, povera in maggioranza, crede alla manna caduta dal cielo e in tanti accorrono con un recipiente per procurarsi un po’ di carburante da vendere per guadagnarsi il pane dei giorni a venire, ma la manna si trasforma in un macabro calvario, quando, secondo alcune testimonianze, una persona si avvicina con una lampada a petrolio per meglio raccogliete il carburante.
Questa lampada ha scatenato l’esplosione. Il risultato, case bruciate (molte case costruite con la terra e col tetto di paglia), molti beni materiali ed esseri umani carbonizzati, molte vittime che si trovavano stipate in piccole sale cinematografiche intente a seguire i quarti di finale della coppa del mondo di calcio non hanno avuto la possibilità di uscirne e sono state avvolte dal fuoco che si diffondeva dovunque.
Sangé, un piccolo paese privo di corrente elettrica e di acqua, situato sulla strada che collega Bukavu con Uvira non aveva nessun servizio di pronto soccorso, né di antincendio. Questo servizio non esiste nemmeno a Bukavu e, se esiste, lo è solo di nome, perché non è dato vedere né nel capoluogo del Sud-Kivu, Bukavu, né a Uvira nessun veicolo antincendio. La popolazione si è trovata sola in questo in questo triste dilemma, salvare coloro che stavano per finire carbonizzati o salvare se stessi. La scelta era difficile. Attualmente questa zona è l’ombra di se stessa, i superstiti hanno perduto tutto (vestiti, case, fratelli, genitori, amici, …). La vita si è fermata a Sangé, nessuno fa nulla, nessuno grida, nessuno piange, la gente osserva i soccorritori, le autorità, i visitatori che che vengono da ogni parte per solidarizzare. i morti sono stati seppelliti in gruppi di tre persone per ogni fossa. Più di 242 morti sepolti, corpi nerissimi carbonizzati, talora si vedono solo gli scheletri. 218 morti sono stati sepolti lo stesso giorno della sepoltura ufficiale, il 4 luglio 2010. E più di un centinaio di vittime si trovavano nei diversi ospedali.
Attualmente il bilancio ufficiale è di 242 morti, ma è un bilancio che può aggravarsi da un momento all’altro. A Bukavu, nei due grandi ospedali, quello di Panzi e quello di General, ci sono decine di superstiti ustionati, e disgraziatamente fra loro ci sono quelli che stanno per soccombere, altri vengono curati, ma i responsabili degli ospedali lamentano l’assenza di farmaci essenziali, mentre alcuni pazienti e malati si lamentano per l’assenza di cibo.
Le autorità in collaborazione con la MONUC (Missione ONU in Congo) e con la Croce Rossa si sono occupati all’indomani del dramma per evacuare gli ammalati in ospedali di Bukavu e di Goma per mezzo degli elicotteri della MONUC, a Uvira e Lemera con veicoli e ambulanze delle Organizzazioni Internazionali, ecc.
Pensando a ciò che succede da oltre un decennio, viene da chiedersi se Dio non abbia abbandonato i Congolesi, in particolare la popolazione dell’Est.
Questa è una fra le tante domande che si pone questa gente e delle malelingue possono anche giungere a quella conclusione, altri si chiedono se per l’Est della RDC non sia giunta la fine del mondo, l’apocalisse.
Ma i drammi dell’Est della RD del Congo non sono certo finiti. Fino a quando persisteranno la situazione di estrema povertà e la disuguaglianza tra le classi sociali i disastri saranno sempre in agguato.
In allegato troverete delle foto che dicono molto di più di quanto non vi abbia riferito.
Padjos (Pierre Lokeka)