Da tempo avrei voluto dire qualcosa a proposito di scuola, ma il suo stato di salute è stato talmente messo a repentaglio che ormai non si riesce a dire quasi più nulla. Verrebbe quasi solo da deprimersi e non si sa neppure se questo processo distruttivo abbia raggiunto il suo apice o se, invece, ci sia ancora spazio per qualche ulteriore sadica cattiveria. Vien quasi da chiedersi quale tipo di gran finale stiano preparando nella cucina del governo.
Mah…
Da dove cominciare? Comincerei volentieri dall’intervento del Capo dello Stato per l’apertura dell’anno scolastico, dal suo accorato appello a lasciare ancora qualche risorsa, se non sapessi che rimarrà cinicamente inascoltato.
Dalla protesta montante in ogni settore? Quella dei ricercatori delle università? Dalle iniziative presenti in ogni angolo del paese volte a far sapere alle famiglie che riducendo drasticamente e progressivamente il numero degli insegnanti non si riforma ma si demolisce scientemente il sistema scolastico? C’è solo l’imbarazzo della scelta!
Scelgo invece lo sberleffo, il segno della beffa. Ciò che ha dato la misura di una regressione democratica e di un decadimento culturale da brividi: l’inaugurazione del nuovo edificio scolastico di Adro.
Adro, per chi non lo sapesse, si trova appena a sud del lago d’Iseo e non è la prima volta che la sua scuola sale agli onori delle cronache. Sì, direte, sappiamo della vicenda della mensa negata ai figli delle famiglie in difficoltà col pagamento – che già testimonia quali sentimenti possano attecchire nell’animo delle persone quando prevale l’egoismo, sappiamo della sollevazione di molti – troppi – nei confronti di un gesto di solidarietà di un cittadino. Se paga per loro, allora paghi anche per noi! E infine, direte, quest’ultima indecenza entrata nelle nostre case attraverso il piccolo schermo, con tutto quel verde, quei simboli leghisti sparsi dappertutto. Una scuola sepolta sotto i simboli di un partito! Pensate quel che volete. Io credo che si debba essere intransigenti. Non l’avevamo mai vista una scuola dell’obbligo ricoperta di scudi crociati o di falci col martello. Questo perché i partiti sono costituzionalmente di parte, mentre a scuola ci devono andare tutti i bambini e tutti i ragazzi. Solo negli stati totalitari la mistica del partito dominante si sovrappone di prepotenza a quelli delle istituzioni. Di fasci, svastiche, falci e martelli usate per marcare la dittatura di un solo partito ne abbiamo avuto abbastanza. In Italia i simboli che a buon diritto possono decorare le aule scolastiche sono solo le bandiere italiana ed europea e – volendo – lo stemma della repubblica affiancato dal ritratto del Capo dello Stato. Spero solo che la cancellazione di questi simboli, chiesta dalla Gelmini avvenga senza tentennamenti e venga fatta eseguire da chi di dovere, sindaco leghista in testa. Certo che ciò che addolora di più anche in questo frangente è l’acquiescenza della gente. Ciò che ancora una volta manifesta quanto una sottocultura totalmente acritica, incapace di cogliere come il colore, l’odore del nuovo e del pulito possano indurre a passar sopra alla prepotente azione indottrinante di un partito che per semplici ragioni di propaganda politica non esita a ricoprire pavimenti e pareti con i suoi simboli di parte.
Ma, vedete, ci sarebbe un’altra Adro da raccontare. Quella dei primi anni settanta, quando su un agile, ma intenso, volumetto Elio Damiano, allora Direttore Didattico di quella scuola, descriveva una delle più interessanti esperienze di tempo pieno realizzate nella sua scuola.
Quel libro era proprio intitolato così: Adro Tempo Pieno
Allora la scuola era in fase di riforma, di grandi riforme, un passo per volta, con fatica, ma con coerenza e con coraggio, avendo di mira davvero il futuro delle generazioni che stavano crescendo in un clima di fiducia e di speranza, in un rapporto non sempre facile fra cultura, ricerca, opinione pubblica e scelte politiche, ma nella convinzione che il confronto poteva condurre al raggiungimento degli obiettivi.
Così come Adro offriva un’esperienza fortemente innovativa, anche l’Italia si apriva – sempre a partire dal basso – all’innovazione pedagogica, connettendola fortemente col quadro delle risposte ai bisogni sociali emergenti e con una progettualità mirata alla valorizzazione delle competenze professionali. Si innovava la didattica e si allestivano le mense affinché insieme ad una scuola di qualità, i bambini potessero godere, indipendentemente dalla loro estrazione sociale, di un’alimentazione e di una educazione alimentare ben curate.
Senza citare le esperienze di Barbiana e di Vho di Piadena, fiorivano allora le esperienze dei centri scolastici del Trentino, della scuola a tempo pieno di Spilamberto (MO), di Rho (MI) e – più vicino a noi – la trasformazione in tempi pieni degli educatòri a Bologna e due esempi per me indimenticabili, quello di Chiusura e poi di Montebello a Imola e – lo dico con tutto il pudore del caso, posto che in una di queste scuole operavo personalmente – delle Pezzani e di Ponticella a San Lazzaro di Savena . Queste mi sono rimaste nella mente e mi scuso di tutte le omissioni. Ma sono passati ormai quasi cinquant’anni.
E come oggi il nome di Adro entra nelle nostre case, perché lì ci si distingue per decisioni e realizzazioni dissennate dove non pare esserci più spazio per un confronto culturale serio, approfondito, che punti all’educazione dei ragazzi e dei giovani all’esercizio dei valori riassunti nella Carta Costituzionale, alla stessa stregua il Paese è di giorno in giorno guidato – attraverso i media, nuovi maestri tuttologi – a privilegiare l’interesse individuale, a dividere gli uni dagli altri, persino a sostenere l’insostenibile, a far credere che possono esserci cittadini più uguali degli altri, a sorvolare sul fatto che sia un dovere pagare le tasse, a illudere sullo stato economico e finanziario del paese, a ingannare i cittadini più semplici sul fatto che una volta ottenuto il voto dai cittadini, il capo del governo debba essere sopportato per un intero mandato anche se sbaglia o governa per il vantaggio proprio anziché nella direzione del bene comune. Ci sarebbe molto altro per disegnare una situazione culturale in caduta libera. Non ci resta che sperare che il mondo della scuola sappia, come spesso è successo, reagire da par suo e, non solo supplire a vecchie e nuove carenze, ma sappia anche, con coraggio, senza nascondere il volto sotto la sabbia, riconoscere le nuove domande di educazione e di formazione e cimentarsi in un sano confronto culturale e professionale per individuare le necessarie risposte.
Altrimenti succederà come ad Adro, in tutta Italia.