Nessuno sa come finirà, gli esperti sono cautissimi, la politica o tentenna o arretra, in realtà la finanza imperversa e la fa da padrona, fino al punto da prefigurare catastrofi di tipo politico istituzionale, contagiando anche alcuni capi di stato. Entro una settimana sapremo se l’Euro e l’Europa si salveranno oppure no. Così ci dicono i media.
Io non riesco a convincermi e, di conseguenza, a capacitarmi.
Mi pare un evento così enorme da inserire nel novero di quelli suscitati da fantasie fervide, ma strabiche. O interessate ad un vero e proprio sfascio che può essere coltivato unicamente per ragioni stupidamente ideologiche o finanziariamente illusorie o strumentalmente elettorali.
O per poter dire avevo ragione io.
Fortunatamente qualche persona seria anche in Italia si trova ancora e quasi tutti abbiamo capito chi è. Non l’abbiamo ancora scampata, ma stiamo correndo davvero un bel rischio. Lo spread va giù piano, ma il clima è un altro. Però il clima non basta e il difficile viene adesso nel passaggio dal dire al fare. Nel proporre riforme dure e difficili, che siano e vengano vissute come eque. Nel proporle in fretta. Facendo in modo che un parlamento che ha votato una fiducia condizionata da molti essenziali distinguo, le approvi.
Un parlamento già in fibrillazione per via dei vitalizi.
Un parlamento che per approvare scelte dure come quelle che si prospettano, scelte “europee”, avrebbe bisogno del sostegno esplicito della pubblica opinione. Sarebbe necessario un risveglio popolare, un’attenzione nuova da parte di tutti verso questo nostro vecchio continente, questa nostra nuova patria dalla quale ci è stato insinuato che potevamo persino uscire, quando i nostri rappresentanti non erano capaci di concertare una politica comune per l’immigrazione. Come, da ormai vent’anni, gli stessi soggetti, accecati da un meschino egoismo territoriale, proclamano sguaiatamente la “secessione” della padania.
Ciò che fatico a capire sono i silenzi. Quello popolare innanzi tutto. Anche quello della web society. Sto pensando ai milioni di persone che ormai per lavoro o per turismo percorrono quotidianamente le rotte, le ferrovie, le autostrade del Continente, sto pensando agli studenti delle scuole superiori e dei progetti Erasmus che indifferentemente studiano e sostengono esami in forza di accordi e trattati volti a facilitare la nostra vita di cittadini europei presenti e futuri. Sto pensando alla semplificazione per tutti portata dalla moneta unica, dall’abbattimento dei confini, dalla sensazione di sentirsi dovunque a casa propria accolti dalla comune bandiera blu con dodici stelle in cerchio.
Non sarà che l’abbiamo data un po’ troppo per scontata questa Europa?
Sarà anche romantico, ma prima di abituarsi a certe profezie di malaugurio, sarebbe bene ripassare almeno il Manifesto di Ventotene. Chi non l’avesse mai letto si riservi per una volta il tempo necessario. Almeno il paragrafo sull’Europa.
Insomma non posso proprio pensare che domani crolli così, per pure ragioni finanziarie, un sogno che con fatica i popoli e i cittadini dell’Europa hanno ormai nelle vene. Forse senza saperlo.
Anche dell’Italia si disse centocinquanta anni fa “L’Italia è fatta, facciamo gli italiani”. Forse è l’ora di correre anche culturalmente ai ripari. Fare gli Europei.
Non c’è dubbio che intanto vi sono le urgenze che a Bruxelles, a Francoforte e nelle capitali degli stati più a rischio bisogna affrontare. Anche modificando i trattati. L’Europa ammalata ha bisogno di ingoiare medicine molto amare e si salverà se prima di tutto saprà darsi una vera politica economica e fiscale comune, ma non basterà. Occorrerà anche una nuova strutturazione istituzionale europea. Questo il compito della politica. Fin qui siamo stati troppo timidi. Ci ha fatto paura la cessione di sovranità. Non abbiamo capito che cedendo la nostra sempre più debole, ne avremmo ottenuto in cambio una comune più forte.
E tutti faremo bene a studiare e a interessarci di più dell’Europa. Siamo andati già per troppe volte a votare con una consapevolezza insufficiente senza sapere per che cosa.
A scuola l’abbiamo studiata poco. Scampati dall’annegamento dovremo imparare a nuotare di nuovo, fin da piccoli. Nascendo con passaporto europeo, crescendo in una scuola che mescola e condivide le lingue e le culture e prepara insieme alla società la nuova mentalità democratica europea.
In bocca al lupo!
Nessuno sa come finirà, gli esperti sono cautissimi, la politica o tentenna o arretra, in realtà la finanza imperversa e la fa da padrona, fino al punto da prefigurare catastrofi di tipo politico istituzionale, contagiando anche alcuni capi di stato. Entro una settimana sapremo se l’Euro e l’Europa si salveranno oppure no. Così ci dicono i media.
Io non riesco a convincermi e, di conseguenza, a capacitarmi.
Mi pare un evento così enorme da inserire nel novero di quelli suscitati da fantasie fervide, ma strabiche. O interessate ad un vero e proprio sfascio che può essere coltivato unicamente per ragioni stupidamente ideologiche o finanziariamente illusorie o strumentalmente elettorali.
O per poter dire avevo ragione io.
Fortunatamente qualche persona seria anche in Italia si trova ancora e quasi tutti abbiamo capito chi è. Non l’abbiamo ancora scampata, ma stiamo correndo davvero un bel rischio. Lo spread va giù piano, ma il clima è un altro. Però il clima non basta e il difficile viene adesso nel passaggio dal dire al fare. Nel proporre riforme dure e difficili, che siano e vengano vissute come eque. Nel proporle in fretta. Facendo in modo che un parlamento che ha votato una fiducia condizionata da molti essenziali distinguo, le approvi.
Un parlamento già in fibrillazione per via dei vitalizi.
Un parlamento che per approvare scelte dure come quelle che si prospettano, scelte “europee”, avrebbe bisogno del sostegno esplicito della pubblica opinione. Sarebbe necessario un risveglio popolare, un’attenzione nuova da parte di tutti verso questo nostro vecchio continente, questa nostra nuova patria dalla quale – ci è stato insinuato – potevamo persino uscire, quando i nostri rappresentanti non erano capaci di concertare una politica comune per l’immigrazione. Come, da ormai vent’anni, gli stessi soggetti, accecati da un meschino egoismo territoriale, proclamano sguaiatamente la “secessione” della padania.
Ciò che fatico a capire sono i silenzi. Quello popolare innanzi tutto. Anche quello della websociety. Sto pensando ai milioni di persone che ormai per lavoro o per turismo percorrono quotidianamente le rotte, le ferrovie, le autostrade del Continente, sto pensando agli studenti delle scuole superiori e dei progetti Erasmus che indifferentemente studiano e sostengono esami in forza di accordi e trattati volti a facilitare la nostra vita di cittadini europei presenti e futuri. Sto pensando alla semplificazione per tutti portata dalla moneta unica, dall’abbattimento dei confini, dalla sensazione di sentirsi dovunque a casa propria accolti dalla comune bandiera blu con dodici stelle in cerchio.
Sarà anche romantico, ma prima di abituarsi a certe profezie di malaugurio, sarebbe bene ripassare almeno il Manifesto di Ventotene. Chi non l’avesse mai letto si riservi per una volta il tempo necessario. Almeno il paragrafo sull’Europa.
Insomma non posso proprio pensare che domani crolli così, per pure ragioni finanziarie, un sogno che con fatica i popoli e i cittadini dell’Europa hanno ormai nelle vene. Forse senza saperlo.
Anche dell’Italia si disse centocinquanta anni fa “L’Italia è fatta, facciamo gli italiani”. Forse è l’ora di correre anche culturalmente ai ripari. Fare gli Europei.
Non c’è dubbio che intanto vi sono le urgenze che a Bruxelles, a Francoforte e nelle capitali degli stati più a rischio bisogna affrontare. Anche modificando i trattati. L’Europa ammalata ha bisogno di ingoiare medicine molto amare e si salverà se prima di tutto saprà darsi una vera politica economica e fiscale comune, ma non basterà. Occorrerà anche una nuova strutturazione istituzionale europea. Questo il compito della politica. Fin qui siamo stati troppo timidi. Ci ha fatto paura la cessione di sovranità. Non abbiamo capito che cedendo la nostra sempre più debole, ne avremmo ottenuto in cambio una comune più forte.
E tutti faremo bene a studiare e a interessarci di più dell’Europa. Siamo andati già per troppe volte a votare con una consapevolezza insufficiente senza sapere per che cosa.
A scuola l’abbiamo studiata poco. Scampati dall’annegamento dovremo imparare a nuotare di nuovo, fin da piccoli. Nascendo con passaporto europeo, crescendo in una scuola che mescola e condivide le lingue e le culture e prepara insieme alla società la nuova mentalità democratica europea.
In bocca al lupo!