C’è qualcosa che non quadra in questo processo che sembra avviarsi rapidamente sulla scorta di molte sollecitazioni più o meno sincere. Sì, perché dopo la dichiarata inammissibilità del referendum, molti parlamentari – e non solo – si sono affrettati a riconoscere che non poteva essere ignorata la richiesta di oltre un milione e duecentomila firmatari. Non ha potuto farne a meno neppure Celentano nel suo predicozzo sanremese. Certo che suona abbastanza strano sentire oggi molti rappresentanti del centro destra che a suo tempo votarono e sostennero la “porcata”, dire oggi che bisogna cambiarla. E mi riesce – francamente – difficile credere a queste belle intenzioni.
E il PD? Aveva pronto un disegno di legge, E con quello di base va ora alla trattativa. Sembra però molto disponibile nei confronti di chi vorrebbe ripristinare un “sano” proporzionale … Personalmente un ritorno alla situazione precedente al referendum del 1993 lo riterrei un vero passo indietro in tema di governabilità. Mi basta pensare ai governi della cosiddetta prima repubblica che avevano una durata media di sei mesi.
Correttezza vuole che il discorso cominci dalle richieste dei referendari e dallo sforzo di interpretare il comune sentire di quanti vanno a votare con convinzione e di quanti forse potrebbero tornarci a patto di non trovarsi fra le mani una scheda elettorale contraddittoria con le volontà più volte espresse.
Prima volontà: scegliere i propri rappresentanti. L’orientamento sembra – invece – essere quello di escludere le preferenze. Niente preferenze e collegi uninominali. Le ragioni sono sintetizzabili nel timore del voto di scambio. Mi piacerebbe di capire, però, perché il voto di scambio non è possibile in un collegio uninominale.
Seconda volontà: sapere chi governerà … personalmente … più che chi, mi interesserebbe sapere che cosa ha intenzione di fare. E quindi la priorità dovrà essere il programma
Ciò che non mi piace è che non se ne parli nei luoghi deputati, cioè nei circoli del PD. Su un argomento come questo che ha visto la società civile come protagonista,
C’è qualcosa che non convince in questo processo che sembra avviarsi rapidamente sulla scorta di molte sollecitazioni più o meno sincere. Sì, perché dopo la dichiarata inammissibilità del referendum, molti parlamentari – e non solo – si sono affrettati a riconoscere che non poteva essere ignorata la richiesta di oltre un milione e duecentomila firmatari. Non ha potuto farne a meno neppure Celentano nel suo predicozzo sanremese. Certo che suona abbastanza strano sentire oggi molti rappresentanti del centro destra che a suo tempo votarono e sostennero la “porcata”, dire oggi che bisogna cambiarla. E mi riesce – francamente – difficile credere a queste belle intenzioni.
E il PD? Aveva pronto un disegno di legge, E con quello di base va ora alla trattativa. Sembra però molto disponibile nei confronti di chi vorrebbe ripristinare un “sano” proporzionale che mi fa pensare ad un ritorno alla situazione precedente al referendum del 1993: un vero passo indietro in tema di governabilità. Mi basta pensare ai governi della cosiddetta prima repubblica che avevano una durata media di sei mesi.
E ora non dimentichiamo quell’atmosfera di antipolitica montante che si è spesso tradotta in percentuali di astensionismo sconosciute in Italia. Anche per questo qualsiasi riforma del sistema elettorale deve cominciare dalle richieste di quel milione e duecentomila referendari e dallo sforzo di interpretare il comune sentire di quanti vanno a votare con convinzione e di quanti potrebbero tornarci a patto di non trovarsi fra le mani una scheda elettorale contraddittoria rispetto alle volontà più volte espresse.
Prima volontà: scegliere i propri rappresentanti. L’orientamento sembra – invece – essere quello di escludere le preferenze. Niente preferenze. Largo ai collegi uninominali. Le ragioni sono sintetizzabili nel timore del voto di scambio. Vorrei capire, però, perché il voto di scambio non è considerato possibile in un collegio uninominale nel quale il candidato (unico) viene scelto dall’establishment del partito. Voto di scambio uguale corruzione: questa prassi può essere esercitata da singoli candidati come dai capi partito. Credo che davanti a tutto debba stare l’attenzione dei partiti nell’isolare ed espellere dal proprio interno le cosiddette “mele marce”. Prima ancora che giungano ad ottenere una qualsiasi candidatura. Dopodiché per il cittadino elettore resta l’imperativo “scelgo”. A questo imperativo si ottempera o nel momento del voto, se si possono esprimere le preferenze o con delle sane primarie senza tanti se e senza tanti ma.
Seconda volontà: sapere chi governerà. Personalmente … più di chi, mi interesserà il programma. Per questo, ovviamente, sarà necessario un processo partecipato. Il più possibile “dal basso” senza che gli “alti” debbano, per questo, sentirsi sminuiti o esautorati. Ma su questo sarà opportuno tornare fra pochissimo dal momento che il governo Monti è, così si dice, a tempo determinato e sul “dopo” sarà meglio aprire un serio dibattito con e nella base, pena una diaspora che nessuno vuole a parole, ma paradossalmente viene coltivata nei fatti. Un dopo che vuol dire “chi vogliamo essere”, “che cosa vogliamo fare” e “con chi stiamo” per realizzare un progetto credibile. Anche per questo non è più presto e bisogna darsi da fare con lena.
Tornando alla legge elettorale, non è accettabile che non se ne parli nei luoghi deputati, cioè nei circoli del PD. Su un argomento come questo che ha visto la società civile e tanti iscritti come protagonisti, sarebbe un bel segno da parte dei dirigenti politici provocare al massimo l’innalzamento del livello di partecipazione.
Coraggio! Diamoci una mossa!